Chiunque lavori nell’ambito pubblicitario, o sia semplicemente intenzionato a vendere efficacemente un prodotto, si sarà misurato con l’impossibilità, a seguito dell’investimento in spot o volantini che siano, di conoscere esattamente l’impatto di tale sforzo economico sull’andamento di una azienda.
“Io so che metà dei soldi che spendo in pubblicità sono buttati, ma non so quale sia quella metà” – John Wanamaker
Anche le scienze hanno cominciato, col passare del tempo, a interessarsi del marketing, favorendo le società attraverso questionari e analisi statistiche sempre più raffinate, ricercando una ratio che fosse in grado di spiegare cosa spinge un consumatore ad effettuare un acquisto.
La verità, però, è che la vera conoscenza del pensiero di chi compra è difficilmente rintracciabile al di fuori della mente. L’idea dell’uomo come decisore razionale, in grado di valutare costi e benefici in maniera asettica, è stata superata ormai da tempo nei campi della psicologia come dell’economia.
È per questo che una nuova disciplina ha trovato fortuna nelle speranze dei fornitori. Per neuromarketing, infatti, si intende una branca della neuroeconomia in grado di indagare il decision-making nell’acquisto da parte dell’essere umano, valutandone gli indici oggettivi.
Questi vanno dalla misurazione fisiologica (come la dilatazione pupillare, il battito cardiaco) a quella cerebrale (attraverso l’utilizzo di tecniche come l’elettroencefalogramma) e permettono di quantificare, in base alle evidenze neuroscientifiche, ciò che proviamo davanti ad un brand, un prodotto o una pagina web.
Il neuromarketing mette insieme informazioni derivanti da diversi ambiti, tra i quali ovviamente il marketing puro, la neurobiologia e la psicologia, cercando di tirare le somme di quella che è la percezione del consumatore.
Sicuramente una marcia in più rispetto ad un semplice questionario, il quale non permette di comprendere effettivamente se le risposte date dal soggetto siano totalmente affidabili; questo a causa della possibilità di mentire deliberatamente, o della semplice desiderabilità sociale che spinge un individuo a rispondere come ci si aspetterebbe.
Indagando direttamente la mente ed il corpo, è possibile invece andare oltre l’apparenza, avvicinandosi maggiormente all’inconscio, e arrivando a comprendere con maggiore accuratezza le scelte di chi compra dettate da un’interazione tra la cognizione e le proprie emozioni.
Il potere di questa tipologia di ricerca, ovviamente, non riguarda solo la pubblicità. Attraverso le tecniche tipiche del neuromarketing si può scoprire tanto sulla comunicazione da tutti i punti di vista, compreso quello politico.
Anche il neuromarketing, in ogni caso, presenta alcuni limiti e controindicazioni. Quello principale sta nel fatto che la comprensione del cervello umano è ancora lontana dal definire certezze assolute, e che quindi i risultati vanno sempre intesi con una certa cautela.
Dal punto di vista etico, invece, bisogna sottolineare come ci sia una differenza non da poco nel favorire il benessere del cliente, cercando di creare prodotti più adatti e più piacevoli di cui usufruire, e la possibilità che i dati sperimentali vengano utilizzati come uno specchietto per le allodole.
Evitare un’eccessiva semplificazione nell’interpretazione dei dati, infatti, è una problematica spesso riscontrabile anche in ambiti della ricerca più canonici.
di Daniele Sasso