Litigare sul lavoro e sentirsi schiacciati dalle tante pressioni che la propria azienda impone sono fenomeni comuni per chiunque possegga un’azienda o ne sia dipendente.
Certe volte, però, questo genere di difficoltà può arrivare a innescare una serie di effetti collaterali che minano l’intera esistenza dell’individuo.
Herbert J. Freudenberger, psicologo statunitense di origine tedesca, fu il primo ad utilizzare il termine burnout negli anni ’70. Inizialmente gli studi sull’argomento si erano concentrati perlopiù sulla relazione tra gli operatori che fornivano servizi di cura o assistenza e gli utenti che la ricevevano.
Solo in seguito, attraverso l’estensione delle ricerche ad altre professioni, si arrivò al focus sull’interazione degli individui con il proprio contesto di lavoro.
In particolare, il lavoro di Cristina Maslach del 1997 è stato in grado di collocare la sindrome in un quadro che sottolinea il ruolo delle emozioni, delle motivazioni e della risposta allo stress nel contesto organizzativo all’interno del quale il lavoratore è inserito.
All’interno del modello, i fattori organizzativi possono essere mediati dal burnout e compromettere non solo la salute del dipendente singolo, ma anche di tutta l’azienda. Vengono definite 6 aree della vita lavorativa attraverso le quali possono essere rintracciati gli antecedenti della sindrome:
Carico di lavoro: un’elevata richiesta lavorativa viene associata ad una difficoltà crescente nel recuperare le energie necessarie per svolgere i propri compiti.
Controllo: può essere inteso come una mancanza di controllo sulle proprie risorse, oppure come una deficienza nell’autorità utile a svolgere il lavoro nella maniera più efficace.
Riconoscimento: dipende dalla percezione degli altri riguardo alle proprie attività, che se ignorate o svalutate possono portare ad una situazione di sconforto emotivo.
Supporto: il lavoratore può sentire di aver perso il feeling con i colleghi e i superiori, spesso a causa dei sottostanti conflitti irrisolti.
Equità: dipende dalla distribuzione del carico di lavoro e dalla retribuzione, oltre che del rispetto reciproco necessario.
Valori: un conflitto tra i lavori dell’individuo e quelli aziendali può diventare un ostacolo difficile da affrontare nello svolgimento delle attività lavorative.
È possibile quindi definire il burnout come una risposta prolungata allo stress cronico da lavoro che si articola in tre aspetti fondamentali:
Esaurimento emotivo: rappresenta la dimensione di base che accompagna qualsiasi stress individuale, ed è caratterizzato da un eccessivo stress emotivo unito ad un esagerato utilizzo delle risorse affettive.
Depersonalizzazione: viene concettualizzata come il distacco e il distanziamento dal lavoro e dai colleghi. Dal punto di vista psicologico rappresenta un vero e proprio meccanismo di difesa interpersonale contro l’eccessiva attivazione derivata dal lavoro.
Senso di inefficacia personale: diversi studi testimoniano come questa sia la componente più debilitante del burnout, che attraverso un’autovalutazione distorta porta a sensazioni di inadeguatezza e incapacità.
Solo attraverso feedback appropriati, un miglioramento delle condizioni lavorative e un buon supporto sociale, è possibile prevenire un disagio che va a discapito dei dipendenti, e che inevitabilmente influirà anche sull’efficienza della propria azienda.
di Daniele Sasso